I MONACI DI CLASSE A RAVENNA
nell'anno in cui morì Dante

Nel settembre 1321 Dante morì a Ravenna, dove aveva trovato rifugio e protezione. Nella Divina Commedia appellò la bella città come il luogo “su la marina dove ‘l Po discende (Inf. V, 97 ss.) e descrisse la pineta di Classe in modo così evocativo che sembra di sentire il vento di scirocco passare tra le fronde degli alberi.
Tal qual di ramo in ramo si raccoglie / per la pineta in su ‘l lito di Chiassi, / quand’Eolo scilocco fuor discioglie (Pg., XXVIII, vv. 19-20).
E a Classe Dante dovette ammirare anche la basilica di Sant’Apollinare, vero gioiello di arte e di fede. Allora era retta dai monaci Camaldolesi che nel fatale 1321 furono protagonisti di alcune vicende, come delle pergamene ricordano.


La storia iniziò nel maggio quando l’abate di Classe dom Matteo del contado fiorentino rinunciò liberamente al prestigioso incarico.
Nella sua camera, presenti prelati e monaci, a ginocchi flessi e nelle mani di dom Buonaventura, priore dell’eremo di Camaldoli e generale dell’Ordine, supplicò di essere sciolto dalla cura e amministrazione abbaziale nello spirituale e nel temporale, rendendo l’anello e le insegne. Dom Buonventura accettò le dimissioni e lo collocò a Classe come semplice monaco.
Furono testimoni i monaci “domini” Giovanni da Volterra (di San Giusto) “maiore”, Giovanni da Cigiano (piano di Arezzo), Antonio da Galeata (Sant’Ellero, Forlì-Cesena) eremiti dell’Eremo, e poi Teobaldo di San Michele di Murano (Venezia), Bono di San Bartolomeo di Anghiari abati dei rispettivi monasteri, e Florido aretino di San Giusto di Volterra “scriptore” del generale.
Rogò la carta il notaio Anghiarotto di Chiericuccio di Anghiari.


Lo stesso giorno dom Bonaventura, per rimediare al "pastore vacante", radunò i monaci a capitolo con il suono della campanella. Parteciparono i domini Romano priore claustrale di Sant’Apollinare, Simone “de Marchia” abate “monasteri sancti Honesti de dicto monastero de Classe suffraganei”, Pietro da Ravenna, Guido da “Seralto”, Uliviero da Treviso, Ceo pisano e Martino del Casentino.
Secondo le regole camaldolesi l’abate doveva essere eletto dai monaci, in presenza del generale. Quindi quel giorno si stabilirono i patti e compromessi per trattare e negoziare l’elezione “unanimiter et concorde”.
Furono testimoni all'atto questa volta l’eremita dom Antonio da Rocca, alcuni dei monaci sopra citati, Pietro Moncioli notaio volterrano, Giuntino di Fantone e Nuccio di Mazangone di Moggiona (Poppi) servitori di dom Bonaventura.

Più tardi nella camera-dimora del generale, dom Avveduto da Bagnacavallo assente al capitolo approvò e ratificò i patti. Dalla carta appare come teste dom Ventura monaco di San Michele di Murano.
Anche nella chiesa di santa Barbara di Ravenna, soggetta a Sant’Apollinare, frate Ranuccio del contado fiorentino, convocato ma assente al capitolo, fece uguale ratifica.
Testimoni qui furono Gianni di Sanmartino di “Guaita sancti Petri”, il maestro Iacopo di Guidolino della contrada di San Salvatore di Ravenna e Nuccio fratello di dom Matteo.

Tre giorni dopo dom Bonaventura, in modo solenne, ad “honore et reverentia” di Dio, del beato Apollinare martire, della Santa Chiesa Romana, di papa Giovanni XXII, del legato Bertrando di Poggetto e del sacro eremo di Camaldoli, “alta voce cantando”, nominò dom Guido, già abate del monastero di Santa Maria di Vangadizza (Badia Polesine), abate di Sant’Apollinare. Fu presente anche dom Cipriano priore claustrale di Camaldoli.

I fatti successivi furono meno convenzionali.
A settembre dom Guido rinunciò alla carica di abate di Classe nelle mani di Massolo notaio di Fano. Al suo posto venne eletto dom Dionisio bolognese abate di San Frediano di Pisa, uomo nel temporale e nello spirituale “circumspectum, de legitimo matrimonio natum, etatis legitime ac suficientis scientie”.
I monaci questa volta si erano radunati nel coro della chiesa di Santa Maria di Urano (Bertinoro, Forlì-Cesena), presenti i domini Matteo di Classe, Giovanni di Cigiano e Florido di Arezzo oltre a Cristoforo e Mucciolino servitori di dom Buonaventura. Notaio era stato Ranieri del fu ser Iacopo (detto Lapo) da Prato.

Circa una settimana dopo venne redatta anche la procura con la quale il generale inviava dom Romano priore claustrale di Classe e frate Gualtiero converso di San Frediano di Pisa “ad proclamandam” l’elezione di dom Dionisio nella chiesa di Sant’Apollinare. La carta fu scritta ancora a Urano dal notaio pratese; dom Niccolaio, priore claustrale del luogo, fu uno dei testimoni.


Furono queste delle vicende particolari riguardo alle quali Dante, deceduto a settembre, forse conobbe poco o nulla. Ma di certo, come tutti, negli ultimi mesi di vita il Poeta dovette essere angustiato dal precipitare di altri eventi, svelati nelle pergamene dei monaci dal nome di Bertrando del Poggetto (Bertrand du Pouget) legato papale.
Giovanni XXII, conferendogli nel 1319 l’autorità per la Lombardia, la Provincia “Romandiolae” e la Toscana, infatti l’aveva inviato in Italia a combattere i Visconti di Milano e i ghibellini, che già con Castruccio signore di Lucca facevano guerra a Firenze nel Valdarno e altrove.
Di luglio a Bologna poi le compagnie del popolo avevano cacciato il podestà fiorentino e Romeo dei Pepoli. Tuttavia la città era rimasta guelfa e nell’estate si era alleata con Ramon da Cardona e Firenze sempre contro i Visconti.
Si trattava dei segnali forti di una guerra che si avvicinava ed era incerta.
Il priore generale di Camaldoli e i monaci presero i provvedimenti che pensarono opportuni.

Paola Ircani Menichini, 28 maggio 2021.
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RICONOSCIMENTI


Le fotografie


– Il Cristo nimbato di Sant’Apollinare in Classe.

– Particolare di una delle pergamene del 1321 con il ricordo dei monasteri e degli abati camaldolesi.

– Sant’Apollinare in Classe in una vecchia cartolina.

– Particolare della tomba di Dante a Ravenna, con il bel bassorilievo di Pietro Lombardo, 1483.


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